Imprese: patriarchi al timone (Mi.Fi.)
July 04 2022 - 3:27AM
MF Dow Jones (Italian)
Le istituzioni internazionali accusano spesso l'Italia di non
saper innovare. Eppure, per quanto straordinaria, una storia come
quella di Leonardo Del Vecchio non è isolata nell'industria
italiana. L'elenco degli imprenditori con all'attivo la fondazione
di una grande azienda e un consistente patrimonio finanziario è
lungo, anche se spesso si tratta di figure appartate e lontane dai
riflettori della borsa. Come nel caso di Luxottica, le loro
creature sono figlie dell'Italia del miracolo economico o dei
decenni immediatamente seguenti, quando pil e produttività non
erano inchiodati e il made in Italy era una categoria tutta da
inventare. E, sempre come nel caso Del Vecchio, ad accomunarle è
una governance famigliare che blinda il controllo nelle mani del
fondatore e dei parenti più stretti, a partire da moglie e figli.
"Anche se è difficile fare generalizzazioni sulla governance", come
spiega a Milano Finanza Marina Brogi, professore di International
Banking and Capital Markets alla Sapienza di Roma, "il fatto che
nelle imprese ci siano delle forti presenze della famiglia può
essere una caratteristica positiva".
Un suo studio del 2016, redatto assieme ad Alessandro Minichilli
(Bocconi) e Andrea Calabrò (Ipag Business School, Nizza), ha
analizzato i risultati delle aziende familiari italiane durante la
grande crisi finanziaria del 2008 e ha evidenziato "una performance
costantemente e significativamente migliore" dal punto di vista
della redditività oltre alla maggior capacità di assorbire gli
shock esogeni. Una tesi confermata due anni fa da uno studio di
Credit Suisse stilato in seguito al primo periodo della pandemia:
dal 2006 al 2020 le imprese di famiglia di tutto il mondo hanno
visto una crescita nei ricavi superiore del 2% rispetto a quella
delle aziende non familiari, così come una migliore performance per
quanto riguarda i punteggi Esg. Non deve dunque stupire il fatto
che molti degli imprenditori più ricchi d'Italia abbiano tenuto per
sé o mantenuto all'interno della famiglia le redini delle
rispettive aziende.
Si pensi a Giorgio Armani: 87 anni, un patrimonio personale di
6,8 miliardi di dollari secondo Forbes e un impero della moda su
cui presiede strettamente. Lo scorso anno in un'intervista a Vogue
America aveva aperto alla possibilità che il gruppo si unisse in
joint venture con un'altra società a condizione che questa fosse
italiana. "Non è così strettamente necessario che Armani continui
come azienda indipendente", aveva detto, ma la fusione non si è
ancora materializzata. Cinque anni fa Re Giorgio ha stilato i suoi
piani di successione in modo da garantire la continuità del
business: parte della holding Giorgio Armani Spa andrà alla
Fondazione da lui costituita nel 2016, e il resto agli eredi, che
potranno liquidare la quota cedendola alla Fondazione stessa. Tra
questi lo storico braccio destro Leo dell'Orco, la sorella Roberta
e i nipoti, Andrea Camerana e Silvana e Roberta Armani.
Ha recentemente avviato il processo per il passaggio di consegne
aziendale Alberto Bombassei, l'81enne presidente emerito di Brembo
dotato di un patrimonio personale stimato in 2,6 miliardi di
dollari. Da dicembre dello scorso anno ha passato le deleghe
esecutive al genero Matteo Tiraboschi, marito della figlia
Cristina, mantenendo un ruolo di garanzia per assicurare la
continuità dell'azienda ma con più libertà per dedicarsi anche alle
passioni: lo abbiamo visto gareggiare poche settimane fa nella
Mille Miglia 2022 con una Austin Healey 100 Le Mans del 1955. Anche
dal punto di vista proprietario la successione è stata avviata: la
holding FourB è in mano per il 51% a Cristina e per il 49%
all'altro figlio Alberto, di professione architetto.
Mantiene saldo invece il controllo della holding di famiglia
Silvio Berlusconi: l'ex Cavaliere detiene circa il 62,5% di
Fininvest, che opera nei media con Mfe-MediaForEurope e
nell'editoria con Mondadori. Il resto delle quote è diviso tra gli
esponenti della seconda generazione: Marina ha l'8% ed è presidente
di Fininvest e capo di Mondadori; Pier Silvio, con la stessa quota,
è amministratore delegato di Mfe. Il restante 21,5% appartiene alla
società H14, controllata in parti uguali dagli altri tre figli
Barbara (amministratore delegato), Eleonora e Luigi. Ma l'impero da
7,1 miliardi di dollari di Berlusconi dovrà essere diviso in un
numero ancora più grande di fette con la terza generazione: i
nipoti dell'ex presidente del Consiglio sono addirittura 14.
In linea generale "avere un piano di successione è molto
importante, ma non esiste una ricetta ideale", spiega Brogi.
"Bisogna avere pianificato la successione in modo da valorizzare i
talenti. Una caratteristica importante è aver costruito un gruppo
di persone che condividano i valori del fondatore e idealmente ne
abbiamo appreso le capacità imprenditoriali in modo che la ragione
per cui l'azienda è stata capace di navigare bene nel mercato sia
continuamente adattata al contesto".
Quando il passaggio alla seconda generazione funziona, dice
ancora la docente, "spesso si osserva anche un aumento della
diversificazione. Con persone diverse si sviluppano partecipazioni
strategiche in altri settori e anche un lato non-profit". Lo si è
visto di recente nel caso di Gustavo Denegri, presidente di
Diasorin, 85 anni di età e una ricchezza da 5,4 miliardi. Negli
ultimi anni ha lasciato molte delle attività al figlio Michele, che
ha diversificato puntando su ristorazione e alberghiero. Ha
lanciato la catena di ostelli Combo e rilevato, riqualificato e
salvato dal fallimento lo storico ristorante Del Cambio di Torino.
Un altro caso in cui l'apporto dei figli all'interno dell'azienda
ha prodotto risultati positivi è stato quello di Technoprobe,
sbarcata a febbraio sull'Egm con una capitalizzazione di 3,24
miliardi di euro. Il fondatore, l'87enne Giuseppe Crippa, ha creato
la società (specializzata in prodotti per il collaudo dei
semiconduttori) a 65 anni, da neo-pensionato dopo una vita in Stm.
Il figlio Roberto ha assunto il ruolo operativo mentre Cristiano ha
aperto la società al mercato asiatico. Il ceo è il nipote Stefano
Felici, a capo anche di Technoprobe America con sede a San Jose,
nella Silicon Valley.
La resilienza delle imprese familiari deriva, dice ancora Brogi,
"dall'attaccamento nei confronti di un qualcosa che è stato
tramandato e che in molti casi ha rappresentato la vita del
fondatore. Questo fa sì che l'orizzonte temporale su cui si
prendono le decisioni sia molto più lungo e che si facciano delle
scelte più lungimiranti". Ed è forse per questo che alcuni grandi
imprenditori "di famiglia" decidono esplicitamente di non aprire il
capitale a soggetti esterni. Romano Minozzi, fondatore e presidente
di Iris Ceramica (85 anni, patrimonio stimato di 1,6 miliardi di
dollari), qualche anno fa disse: "A un pranzo di lavoro un
americano mi disse: I have a dream, voglio comprare la sua azienda.
Gli risposi: se lo tenga pure, il suo sogno. E grazie mille".
red
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0409:11 lug 2022
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