La riforma delle principali banche popolari italiane voluta dal
governo Renzi continua a far discutere a oltre sei anni dal varo.
In questa intervista Andrea Resti, associate professor of Finance
dell'Università Bocconi, sostiene che il riordino del settore ha
impoverito l'ecosistema italiano del credito ridimensionando un
attore importante. Nessuno strumento da solo è sufficiente a
risolvere un problema complesso: per questo sarebbe stato utile
ricorrere a più modelli alternativi.
D. A quasi sette anni dalla promulgazione che bilancio si può
fare oggi della riforma delle popolari varata nel 2015?
R. Continuo a valutare quella riforma con qualche perplessità.
Non perché le popolari fossero esenti da debolezze e difetti, ma
perché non si cura un cavallo zoppo trasformandolo in un leone:
animale altrettanto rispettabile, ma diverso. In questo modo si è
impoverito l'ecosistema del credito, ridimensionando un attore
importante e potenzialmente positivo.
D. Il modello cooperativo era inapplicabile per grandi istituti
quotati, come sostenuto a lungo dal regolatore?
R. Niente vietava agli investitori istituzionali di acquistare
le azioni di istituti considerati redditizi, e nulla li obbligava a
farlo se non erano soddisfatti del voto capitario. Senza contare
che un potenziale scalatore era sempre libero di lanciare un'opa
subordinata alla trasformazione in spa, come fece a suo tempo Mps
con l'Agricola Mantovana.
D. Anche alla luce della crisi pandemica appena attraversata, si
può dire che la trasformazione in spa abbia reso più solidi gli
istituti?
R. Mi pare che la pandemia sia stata sin qui attraversata senza
particolari danni soprattutto grazie alle garanzie statali, alle
moratorie e all'andamento positivo dei mercati finanziari, che tra
l'altro ha sostenuto le commissioni sul risparmio gestito. La
trasformazione in spa doveva servire a rendere più agevole il
reperimento di nuovi investitori, visto che i diritti di voto
crescono di pari passo con l'investimento effettuato. Si trattava
di un'aspettativa ragionevole, ma il meccanismo è tutt'altro che
automatico: per esempio, il passaggio alla spa non è bastato a
rendere appetibili le banche venete.
D. C'erano elementi di opacità nel modello di governance
cooperativo?
R. Certamente, e penso che ve ne siano ancora nelle popolari
medio-piccole sopravvissute alla riforma. Il che dimostra che
nessuno strumento, da solo, basta a risolvere un problema
complicato. Le popolari di medie dimensioni, non quotate e dunque
non vigilate dalla Consob, sono certamente esposte a possibili
degenerazioni e incrostazioni di potere, talvolta nemmeno difficili
da individuare: basterebbe guardare i cognomi che si ripetono (e
non si tratta di omonimi), come ci ha insegnato la Popolare di
Bari.
D. Un buon numero delle banche entrate in affanno nell'ultimo
decennio erano popolari. La correlazione giustifica a posteriori la
riforma Renzi?
R. La correlazione non è perfetta: basta pensare alle quattro
banche messe in risoluzione nel novembre 2015 (Etruria, Marche,
Carichieti e Carife), talvolta definite frettolosamente «le quattro
popolari»: solo una era cooperativa, peraltro già decisa a
trasformarsi in spa. In molti casi, poi, più che dalla natura
cooperativa le fragilità sono derivate dal rapporto con le
fondazioni e la politica locale. Ciò premesso, è innegabile che nel
settore delle popolari siano maturate situazioni di dissesto, e ciò
dimostra che un intervento era opportuno. Ma aveva senso ragionare
su una cassetta degli attrezzi più ampia, che contemplasse diverse
alternative.
D. Un percorso di riforma alternativo è stato avviato dalle bcc.
Che analogie e che differenze coglie tra i due processi?
R. L'obbligo di trasformazione in spa ha avuto almeno il pregio
della chiarezza. Il percorso seguito per le Bcc è meno lineare, e
non a caso. Mi pare che si sia voluta tratteggiare una soluzione
volutamente ambigua, lasciando in ombra alcuni aspetti decisivi del
rapporto tra banche locali e gruppi cooperativi per vincere le
resistenze dei singoli e portare sotto lo stesso tetto, prima che
si mettesse a piovere, soggetti molto eterogenei e legittimamente
gelosi della propria autonomia. Questo approccio era forse
indispensabile, ma non ha consentito di assegnare un peso adeguato,
nei nuovi gruppi, alle banche locali più sane e redditizie.
D. Che futuro vede per le banche rimaste popolari in Italia? Il
modello ha un futuro o è destinato a estinguersi?
R. Il problema si pone, più in generale, per tutte le banche di
dimensioni medio-piccole, incluse le Spa. L'entità degli
investimenti necessari per tenere il passo con la regolamentazione
e con la tecnologia avvantaggia gli istituti di maggiori dimensioni
e spinge verso un'ulteriore concentrazione del mercato. Con
l'aggravante che, mentre in passato i soggetti aggreganti erano
disposti a staccare sostanziosi assegni per annettersi le filiali
delle banche minori, oggi preferiscono cercare nuovi clienti online
e, anziché pagare un premio per l'acquisita, chiedono uno sconto.
Detto questo, il legame tra banca e cooperativa è diffuso in tutto
il mondo e non per caso: è un genus dell'intermediazione
finanziaria difficile da estirpare, con fragilità ma anche
potenzialità proprie. Una storia to be continued.
D. Pensa che in alcuni casi specifici, come quello della
Popolare di Sondrio, una delle banche italiane più orientate allo
sviluppo del territorio, sia possibile introdurre una forma di
governance che bilanci lo spirito cooperativo del passato e le
richieste del mercato?
R. Una maggiore flessibilità sarebbe utile per tutti e, se le
grandi popolari devono essere Spa, la presenza di una cooperativa
tra i principali azionisti dovrebbe essere vista come una scelta
legittima. Accompagnata, ovviamente, da un'attenta vigilanza su
tutte le imprese bancarie, che tuteli la stabilità e la buona
governance.
D. Per una soluzione di questo genere il nostro giornale ha
suggerito di guardare ai gruppi cooperativi bancari italiani come
Iccrea o Ccb o a Crédit Agricole. Vede altri modelli possibili per
preservare la tradizione cooperativa se non la struttura
giuridica?
R. Mi sembra interessante il modello Unipol, con grandi
cooperative al vertice e quote bancarie significative. Si tratta di
un assetto che la riforma delle popolari non ha mai messo in
discussione e che è andato rafforzandosi negli ultimi anni con la
confluenza di Unipol Banca in Bper. Immagino possa rappresentare
un'opzione per tutti.
fch
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December 30, 2021 02:33 ET (07:33 GMT)
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