Borsa: Piazza senza Affari (Mi.Fi.)
December 12 2022 - 2:23AM
MF Dow Jones (Italian)
Piovono opa a Piazza Affari, 25 da inizio anno di cui tre
concentrate nei primi giorni di dicembre. Ad accelerare le
operazioni, la debolezza dei listini mondiali (il Ftse Mib ha perso
il 10% da inizio anno) a causa della guerra in Ucraina, del rialzo
dei tassi e dell'iperinflazione. Resta il fatto che il rapporto
prezzo/utile atteso al 2023 delle 40 società che compongono il Ftse
Mib, per esempio, è di sole sette volte, valore che invoglia
soprattutto i grandi fondi d'investimento ad approntare operazioni
mordi e fuggi per impossessarsi a buon prezzo di aziende da
delistare, rilanciare e infine rivendere a valori ben più
consoni.
Il risultato è che il 2022, scrive MF-Milano Finanza, si porterà
via dal listino milanese almeno 33 miliardi di capitalizzazione
relativa alle società oggetto d'offerta pubblica e conseguente
delisting. Includendo i 15 miliardi di Exor -la holding ha
traslocato di recente alla borsa di Amsterdam, dove ha la sede
fiscale- la perdita di stazza sale a 48 miliardi. Si chiude per ora
la vicenda Tod's: qui a muoversi sono stati i Della Valle ma le
scarse adesioni all'offerta hanno fatto per ora desistere la
famiglia marchigiana dall'affondo. Se l'operazione più avanti
andasse in porto, considerato che ai valori borsistici attuali
Tod's vale circa un miliardo, si arriverebbe a ridosso dei 50
miliardi di deflussi, ossia oltre l'8% rispetto ai 695 miliardi di
capitalizzazione di Piazza Affari.
Big and small, chi se ne va. Quest'anno lasciano colossi come
Atlantia: l'holding dei Benetton vale 19 miliardi di market cap e
torna privata dopo 35 anni dopo l'opa di Edizione e Blackstone,
così come Banca Finnat, delistata dalla famiglia Nattino, in borsa
da 80 anni. L'ipo risale al 1939, si era quotata la holding di
famiglia chiamata Terme di Acqui. Dalla fusione poi tra Terme Acqui
e Banca Finnat nel 2003 anche la banca è entrata a Piazza Affari.
Sul fronte opposto vi sono piccole società come Rosss, 12 milioni
di euro di capitalizzazione, specializzata in scaffalature, così
come Sourcesense, 36 milioni, realizza soluzioni tech open source,
rilevata da Poste. Il 2022 vede anche l'uscita di Autogrill (2,5
miliardi), che fa sempre capo ai Benetton ed è promessa sposa al
colosso Dufry, così come Falck Renewables, rilevata da Jp Morgan IM
e Cerved, delistata dal gruppo Ion di Andrea Pignataro. Quest'
ultimo, sede a Dublino, ha rilevato diverse società, fra cui
Cedacri, Mergermarket e quote di eToro. Sarà interessante capire se
Pignataro quoterà la holding all'interno dei listini Euronext, che
controlla anche Borsa Spa.
Delisting con grande premio? Per rilevare le società, gli
offerenti hanno pagato nel 2022 un premio medio rispetto al giorno
precedente l'annuncio poco sotto il 30%, ma in oltre metà dei casi
il prezzo di delisting è inferiore a quello di ipo. Si sono
distinti il premio del 45% su Cerved, il 68% di Finlogic proposto
da Credem Private Equity e il 135% di Luxottica su Fedon. Come
spiega Fabrizio Testa, ceo di Borsa Italiana, "osserviamo
ciclicamente fenomeni di delisting su tutte le borse, europee e non
solo. La maggior parte degli asset finanziari, incluse le azioni,
ha subito un forte re-pricing nel corso del 2022 dovuto
prevalentemente a fattori macroeconomici e geopolitici, creando un
contesto favorevole a offerte pubbliche finalizzate al delisting".
È bene ricordare, aggiunge Testa, che ogni uscita dalla borsa "è
una storia a sé. I delisting sono parte del normale ciclo di vita e
sviluppo di un'azienda e sono fisiologici sul mercato. Se guardiamo
al loro numero, quest' anno non sono di più di quelle avvenute
negli anni passati". Ciò che è importante è che il mercato risponda
ai bisogni delle società quotate e rimanga attrattivo per nuove
ipo. «Ne abbiamo avute 22 a Milano quest'anno, 73 su Euronext»,
registra il manager. In seguito all'approvazione da parte di Borsa
Italiana delle nuove regole di ammissione a quotazione, "oggi
accedere al mercato regolamentato è più semplice. È una prima
riforma importante che allinea l'Italia al resto d'Ue, rendendo più
competitivi i nostri mercati". Era uno degli obiettivi evidenziati
dal Libro Verde per la competitività dei mercati italiani del Mef
"in linea con lo spirito della Capital Markets Union", conclude
Testa.
Qualcosa non va? Giovanni Natali, presidente di AssoNext,
l'associazione delle Pmi di Piazza Affari, sottolinea che "il
mercato principale non esiste più. Almeno il governo ha riportato a
500mila euro il bonus quotazione per le pmi. Comunque dobbiamo
ricordarci che il Italia fino al 97 esistevano 10 borse locali,
oggi ce n'è una, tra meno di 10 anni in Europa (geografica)
resteranno forse tre listini: Londra, Parigi e Francoforte e le
imprese dovranno avere un respiro europeo anche per attingere al
mercato dei capitali". Natali mette in evidenza che "in dieci anni
il numero di società quotate in Italia è cresciuto solo per il
mercato Egm. Senza di esso Borsa Italiana, sul mercato principale,
ha ridotto il numero delle quotate di oltre il 30%". Le
semplificazioni di Consob dei mesi scorsi, però, "sono un buon
inizio". Continua "l'impoverimento della borsa italiana dopo il
delisting di Dea Capital", osserva Fabio Caldato, partner di
Olympia WM. "A ciò si aggiunge la sostanziale scomparsa delle
grandi famiglie italiane dal listino, dagli Agnelli, a Del Vecchio,
ai Benetton. E nel contempo i super campioni del food, Barilla e
Ferrero, non hanno intenzione di quotare le loro aziende".
Che fare ora. Come sostenere la crescita delle Pmi con un
mercato dei capitali all'altezza? "La questione è centrale per la
competitività del Paese", sostiene Franco Gaudenti, presidente e ad
di EnVent Capital Markets. Come è già fatto per favorire lo
sviluppo di venture capital e strumenti di debito con fondi
dedicati, "serve che la stessa determinazione venga applicata alla
promozione di fondi di fondi che investano in strumenti e fondi
chiusi dedicati al public equity, favorendo l'aumento del numero di
sgr, asset manager e fondi dedicati a pmi e small cap quotate",
riprende Gaudenti. Intervento che consentirebbe di risolvere alcune
criticità "che danneggiano il mercato italiano come liquidità,
sottovalutazione, capitalizzazioni ridotte. In questo modo attori
quali assicurazioni, fondi pensione, casse di previdenza ed enti
dovranno essere coinvolti per allocare risorse da investire in pmi
quotate".
Chi lascia. Perché uscire da Piazza Affari dopo oltre 80 anni?
"Abbiamo deciso che il delisting fosse la miglior soluzione per
assicurare, attraverso questa operazione e attraverso la creazione
di una holding familiare che oggi controlla la banca, una
governance molto solida che possa dare una prospettiva di lungo
termine alla nostra azienda", spiega Arturo Nattino, ad di Banca
Finnat. E che dire di Ima, colosso del packaging quotato dal 1995
al 2021? Oggi resta in mano alla famiglia Vacchi, in maggioranza, e
al fondo BC Partners. "Il delisting di Ima non può essere
considerato come un caso di fuga dal mercato azionario", spiega la
società. "In quelle circostanze non si erano ancora verificate le
condizioni incerte che oggi caratterizzano a livello globale i
mercati". La scelta di Ima è stata motivata della "volontà di
avviare un intenso programma di crescita, con investimenti in
innovazione che avrebbero potuto richiedere un consistente
assorbimento di risorse". Il gruppo ha chiuso il 2021 con ricavi
consolidati di circa 1,7 miliardi. Ora sta entrando nel mondo della
trazione elettrica e del packaging sostenibile.
red
fine
MF-DJ NEWS
1208:06 dic 2022
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December 12, 2022 02:08 ET (07:08 GMT)
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